giovedì 29 luglio 2010

Parrebbe una cosa ovvia e scontata che un parlamentare, piuttosto che un alto dirigente dello Stato, non possano continuare a svolgere le loro funzioni pubbliche nel caso fossero implicati in qualche scandalo che metta in dubbio la propria moralità.

In Italia, purtroppo, da sempre le cose non vanno così. Parrebbe normale, in qualsiasi Paese civile, che un esecutivo che tradisca le aspettative degli elettori commettendo gravi irregolarità sul piano morale, si dimetta al fine di rispettare il patto democratico stipulato con gli italiani.
Parrebbe naturale che alla sola ipotesi di un’organizzazione settaria destabilizzante e parallela allo Stato quale la P3, i suoi membri si auto sospendessero dagli importanti incarichi pubblici, ponendosi così nella condizione di essere giudicati. Parrebbe altresì rispettoso per gli italiani, che l’apparato di governo, prendendo atto di tutto ciò, sospendesse senza esitazioni quei traditori dello Stato.
Parrebbe un fatto logico che l’Italia ponesse al bando definitivamente il sistema degli appalti truccati e l’ignobile tratta dei lavoratori precari, così come lo squallido ed ipocrita sistema dei concorsi preassegnati e della raccomandazione. Parrebbe corretto abolire i privilegi di cui in questo Paese godono in misura spropositata gli editori, i notai, i giudici, i politici, i sindacalisti, gli alti prelati. Parrebbe liberatorio che la smettessimo di essere scherniti a livello siderale, per la classe politica più truffaldina e per il primato mondiale delle auto blu.

lunedì 26 luglio 2010

DEDICATO ALL'ITALIA

Dedicato a tutti gli italiani che credevano nell’Italia una, unica e indivisibile. Dedicato a tutti quegli italiani che s’illudevano che la politica fosse una cosa seria e operante per il bene collettivo. Dedicato a tutti i lavoratori che ancora credono nei loro diritti, nella carta costituzionale e nel relativo statuto del 1970. Dedicato a tutti i poveri italiani che ingenuamente credono nel primato dell’onestà sul malaffare, al trionfo della giustizia sugli affari illeciti, alla lotta dello Stato sulle mafie e sui poteri occulti.

Dedicato a tutti quegli italiani ingenui che ricordano con emozione l’Italia colta e gentile che non c’è più, quella di De Gasperi e di Fermi, quella di Matteotti e di Falcone, quella di Montanelli e di Pasolini. Dedicato al misero silenzio che avvolge le nostre anime orfane di verità. Dedicato all’antico concetto ormai scordato di Patria, dedicato all’eroismo delle vittime delle stragi di Stato, impunibili e impunite. Dedicato a quello sparuto gruppetto d’italiani che ancora non seguono lo squallido esempio dei loro governanti. Dedicato ai sacrifici quotidiani di milioni di nuovi poveri colpevolmente abbandonati a se stessi dalle cosiddette ”istituzioni civili”.
Dedicato, soprattutto, alle migliaia di volontari sociali che, in silenzio, sopperiscono alla criminale assenza dello Stato nel sostenere la nuova povertà, figlia della crisi creata dalle lobby finanziarie. Dedicato alla speranza che una nuova Italia possa presto prendere corpo dalle ceneri di tanta devastazione.

martedì 20 luglio 2010

LE DUE SARDEGNE

Indiscutibilmente ci sono due Italie: quella ricca e produttiva del Nord, e quella del Sud, depressa e svenduta alle mafie. La nostra isola fa comunella con questa seconda Italia, vantando il record europeo di disoccupazione e con un gotha politico nominato dall’Italia del Nord impegnato esclusivamente a terminare di rosicchiare la cotenna del maiale.
Ma la stessa Sardegna è ulteriormente divisa in due: c’è la Sardegna del Sud, a cui afferiscono i finanziamenti per lo sviluppo, e quella depressa del Nord, a cui non arrivano più nemmeno le briciole. E’ significativo viaggiare in auto da Cagliari a Sassari, lungo la Strada Statale 131, per rendersi conto della palese differenza tra le due Sardegne.
Da Cagliari fino ad Oristano pare di percorrere un’autostrada, con guardrail centrale, corsia d’emergenza, asfalto liscio come il culetto d’un bimbo. La situazione cambia radicalmente sopra Abbasanta, con enormi cumuli di mondezza nelle poche aree di sosta, con due corsie talmente strette da rendere rischioso persino un banale sorpasso, e con i famigerati incroci a raso. La nuova strada Sassari-Olbia, invece, non si farà mai. Le industrie del Nord dell’isola chiudono, mentre i lavoratori della chimica protestano occupando l’isoletta che dovrebbe essere un gioiello turistico ed invece è solo un ammasso di zecche e di capre. Lo Sport professionistico chiude per mancanza di fondi, il flusso aereo turistico pure, mentre la Sanità sassarese crepa sotto il peso dei debiti e delle croniche incapacità dei suoi amministratori.

martedì 13 luglio 2010

AVVELENAMENTO DA DEMOCRAZIA

Il re del Ponto, Mitridate, è passato alla storia per essere riuscito ad assuefarsi ad ogni sorta di veleno, ingerendone una dose crescente fino ad immunizzare il proprio organismo. Tutti noi italiani, in fin dei conti, ci stiamo pian piano assuefando ad ogni sorta di schifezza, un po’ come fu per l’antico sovrano. La televisione e la stampa di regime selezionano attentamente per noi ciò che possiamo e non possiamo vedere, i reality televisivi bacano i nostri cervelli fino a dargli la fattezza d’un mallo di noce, le balle dei governanti ci rimbalzano addosso senza più il filtro della ragione. Il mondo corre veloce verso il trionfo della stupidità senza che nessuno abbia la forza di fermare l’ecatombe delle menti pensanti, l’eccidio dell’intellighenzia, l’imbarazzante annientamento d’ogni forma di pensiero differente da quella della classe dominante.

Il concetto stesso di democrazia è quotidianamente svilito dalla feroce lotta per la conquista o per il mantenimento del potere da parte di un gruppo, definito maggioranza, nei confronti di un altro, chiamato minoranza. Lo scopo della democrazia non è più quello di rappresentare il popolo, bensì quello di aggrapparsi al potere per mantenere privilegi ed immunità particolari.
Giorno dopo giorno noialtri assistiamo passivamente alla morte della democrazia perché, come Mitridate, ci siamo immunizzati alla sua degenerazione, e come stupidi soldatini rispondiamo “Signorsì, signore” agli ordini urlati del minuscolo caporale travestito da generale.

mercoledì 30 giugno 2010

Ministri d'Italia, l'Italia s'è desta....

Quali sono i requisiti per poter essere nominato ministro? In Italia certamente è necessario avere almeno qualche carico pendente con la giustizia, oltre a rientrare nel novero degli ex compagni di merende dell’attuale Presidente del Consiglio. L’etimologia del termine ministro, invece, deriva dal latino “minister”, che significa servo, il ché appare assolutamente appropriato ed in linea con la funzione subalterna di questo amministratore dello Stato rispetto, non allo Stato, ma più propriamente verso chi l’ha nominato.

Succede così che nel momento della peggiore crisi dal 1929 in poi, dopo aver chiesto sacrifici a tutti, dopo aver varato una manovra da lacrime e sangue, dopo aver promesso gli auspicati tagli agli spropositati costi della politica, incurante di tutto ciò il capo del governo faccia scattare “l’aiutino da casa” per il suo compare Brancher, tangentista della prima ora, inventandogli un ministero tanto originale quanto inutile.
La manovra sarebbe dovuta passare inosservata, sfruttando la distrazione nazionale per le gesta calcistiche dei campioni del mondo. Purtroppo le cose sono andate diversamente. Persino il capo dello Stato non ha preso bene la disfatta e, destandosi dal geriatrico torpore, ha tuonato contro la richiesta di Brancher di legittimo impedimento, obbligandolo a ritirarla. Ma sappiamo bene che l’Italia è il Paese dei sotterfugi e dei giochetti sottobanco, dell’imbroglio e del doppiogioco, e che presto il Gran Burattinaio ne penserà un’altra delle sue per rimettere a posto le cose.

lunedì 28 giugno 2010

Si è concluso anche il referendum farsa indetto dalla Fiat per legittimare la morte dei diritti dei lavoratori. Ha dell’incredibile come l’illegittimità, stia rapidamente impossessandosi delle istituzioni pubbliche, con il tacito avvallo di tutti noi. In un solo giorno sono stati stracciati, contemporaneamente, il dettato costituzionale in tema di diritti del lavoro, le norme dell’Unione Europea e, non per ultimo, lo statuto dei lavoratori del 1970. La cosa pazzesca è che a rendere possibile quest’immondizia terzomondista, è stata proprio l’industria automobilistica che, più di tutte in Italia nel corso di oltre un secolo, ha attinto a piene mani al capitale pubblico, per poi presentare agli attoniti creditori una perdita stratosferica.

Si sta, in fin dei conti, ripresentando la barzelletta del fallimento dell’Alitalia, andato in onda qualche tempo fa, che è costato a noi poveri contribuenti italiani un ulteriore aggravio del carico fiscale, e che ora ci vede abbondantemente primeggiare in Europa tra i tartassati.
Già tutti noi abbiamo la mente preparata al prossimo referendum: preferisci pagare l’Ici o perdere la proprietà della tua casa? Oppure: “Sei disposto a congelare il tuo conto corrente per impedire il fallimento della banca d’Italia?” Nessuno sa che cosa ci riserverà il futuro sul versante del lavoro, ma è certo che le premesse sono senz’altro suggestive, in linea con l’italica propensione alla creatività, che mai ha fatto difetto alla nostra eccentrica classe politica. Per cui, Fiat voluntas tua.

lunedì 21 giugno 2010

CI FU UN TEMPO IN CUI LA SARDEGNA...

Ci fu un tempo in cui la Sardegna ebbe la Sanità, con degli ospedali funzionali e funzionanti ed il personale medico e paramedico adeguato, con dei dirigenti competenti, con dei politici che pensavano unicamente al benessere dei pazienti e non certo al proprio. Ci fu un tempo, molto ma molto lontano, in cui la Sardegna ebbe un governo che governava per i sardi unicamente per far valere gli interessi della comunità isolana. Ci fu un tempo, perduto nella memoria, in cui la Sardegna ebbe persino un’economia florida, basata sull’agricoltura e sulla pastorizia, sull’industria chimica e sul nascente turismo.

Ci fu un tempo in cui ogni sardo si sentiva fiero della sua sardità, un tempo in cui l’emigrato rientrava a godersi la pensione al suo paese d’origine, in cui tutti i sardi si abbracciavano come se fossero fratelli ritrovandosi oltre Tirreno. Ci fu un tempo in cui la Sardegna fu un’isola mite, senza i cassintegrati emarginati dalle fabbriche, senza i precari a marcire nei callcenter, senza i disoccupati a sperare nella raccomandazione giusta, senza le false promesse del G8 e delle grandi opere stradali, senza la povertà devastante che uccide la dignità del lavoratore sardo.
Ci fu un tempo che ristagna ormai nei ricordi, perso in qualche frammento di spazio, al di là della nostra coscienza di persone oneste e rispettose della nostra terra, al di là del marciume e dell’arroganza dei nuovi coloni che ci governano e che ci governeranno, al di là persino dei loro meschini giochetti di potere. Ci fu, un tempo…

sabato 19 giugno 2010

IL BELPAESE

Questo è un Paese che ha fame di nuovi politici, di nuovi ministeri, di nuovi sottosegretari, di nuovi portaborse, di nuovi autisti per condurre le 65 mila auto blu, di nuovi direttori generali delle nuove asl, di nuovi presidenti per le nuove province, di nuove catastrofi naturali per trasferirvi l’attenzione del pubblico dei teledipendenti, di nuove veline e di nuovi calciatori, di nuovi presidenti delle società calcistiche, di nuovi amministratori delegati di società colluse con la mafia, di nuovi mafiosi collusi con lo Stato, di nuove leggi ad personam, di nuovi attacchi alla dignità dei lavoratori. Questo è un Paese anomalo per L’Europa, che fa finta di essere un Paese civile sforzandosi di farlo credere agli altri. Questo è un Paese che vive di gloria passata, di Arte e di Cultura, di censura preventiva e di segreti di Stato, di stragi impunite e di golpe mancati, di diritti strappati e di furbetti del quartierino, di eroi dimenticati e di razzismo strisciante.

Questo Paese ha fame di una nuova dittatura, di un nuovo ordine delle cose che la finisca d’importunare i suoi governanti con le curiosità dei magistrati e dei giornalisti, di una nuova struttura in linea con il pensiero del Maestro Venerabile Licio Gelli, di una nuova filosofia politica che esalti il Silvio-pensiero. Questo è il miglior Paese in cui vivere per un uomo d’onore, per un evasore totale come per un riciclatore, per un palazzinaro come per un corruttore, per un tangentista come per un segretario di partito. Questo è davvero un Belpaese.

lunedì 7 giugno 2010

La favola senza fine della Sassari - Olbia

L’ultima beffa in ordine cronologico di Mamma Italia verso i servi della gleba “sardignoli”, è stato il furto delle risorse necessarie per la realizzazione della Strada Sassari-Olbia. decenni di promesse, ancora una volta, sono solo serviti a confermare l’unico vero fine della politica: la millantazione.

Certamente Woody Allen s’ispirò al Belpaese, quando interpretò le vicende dello stato libero di Bananas: troppe analogie con il sistema nostrano, in cui ogni astrusità diviene possibile, in cui la corruzione è la norma, in cui le gaffe e le barzellette sono parti integranti dei discorsi internazionali dei propri rappresentanti istituzionali, in cui il problema prioritario è la mondezza, in cui maggioranza ed opposizione sono accomunate dalla medesima imbecillità, in cui il partito che vince le elezioni è quello dei non votanti, in cui un processo civile dura quantomeno dieci anni. Il sardo, dopo essere stato colonizzato da ogni possibile civiltà conosciuta, subisce l’esproprio più severo della propria dignità ai danni dell’Italia. Una strada che non sarà mai fatta è solo il pretesto per comprendere dieci, cento altre promesse mai mantenute, che hanno contribuito a fare della Sardegna una delle regioni più povere dell’Europa. La verità è che questa Regione è solo un feudo dei ricchi vassalli continentali, che usano il nostro territorio per edificarci servitù militari, impianti petrolchimici, discariche abusive e molto presto anche centrali nucleari. Con il reverente silenzio-assenso dei coloni sardi.

martedì 1 giugno 2010

FINCHE' LA BARCA VA . . .

L’Italia è, per definizione, popolo di poeti, di santi e soprattutto di navigatori.

Probabilmente rifacendosi a quest’ultima nazionale attitudine, si sarà ispirato il rampollo del presidente del consiglio, Piersilvio, nel varare, qualche giorno fa, lo Yacht “Custom Line”, lungo la bellezza di 37 metri e costato 18 milioni d’euro. Quattro anni prima aveva acquistato il “Suegno”, un altro battello pagato soltanto 10 milioni d’euro.
Che il vice presidente di Mediaset possa permettersi di spendere come meglio crede i profitti delle sue attività, non c’è alcun dubbio. Ma che lo faccia proprio il giorno in cui il suo ingombrante genitore annuncia alla nazione che è giunto il momento per tutti di fare sacrifici, la cosa appare, oltre che fuori luogo, persino beffarda.
Ci aveva scosso recentemente, del resto, anche la notizia del sequestro dello yacht affittato da Flavio Briatore “Force Blue”, fatto che aveva messo di cattivo umore Nathan Falco, il pargoletto del manager, al punto da impedirgli la regolarità nelle poppate notturne.
Quello che è certo è che la navigazione di decine di migliaia di lavoratori e pensionati italiani avverrà, i prossimi anni, non certo sui mega yacht dei miliardari che comandano questo Paese ma, nella migliore delle ipotesi, su misere scialuppe di salvataggio bucherellate e senza motore, con le quali solcare i flutti d’un mare in tempesta con la sola forza delle braccia. A quel punto resterà perlomeno la consolazione, per il nostro Paese, d’avere un incremento esponenziale nel numero dei santi.

venerdì 28 maggio 2010

Libertà di stampa? No, grazie

Approfitterò di quest’ultima finestra di libertà prima che la legge-bavaglio sulla stampa releghi il nostro Paese alle spalle del Burkina Faso e della Somalia. Se oggi dovessi avere l’ultima occasione per esprimere liberamente il mio pensiero, la spenderei per lanciare un appello accorato agli italiani, affinché reagiscano agli evidenti soprusi che si stanno compiendo ai loro danni. Non è bastata la sfavorevole congiuntura economica, che pure ha allargato la forbice tra i ricchi e i poveri, a creare coesione e solidarietà tra il Paese reale (quello dei precari, cassintegrati, disoccupati, evasori, pensionati alla fame) e quello delle favole (politici, calciatori, veline, banchieri, palazzinari). Non basteranno altre dieci manovrine correttive a colmare il divario secolare tra il ricco Nord ed il poverissimo Sud, deliberatamente lasciato in mano alle mafie ed alla collusione tra il potere statale e la delinquenza. Alle televisioni di regime va in onda di continuo la propaganda, abilmente camuffata da informazione, mentre è taciuta la reale disperazione di migliaia di persone reali che affollano i centri d’assistenza alla povertà, per ricevere qualcosa di cui nutrirsi. Perché l’eccellenza, in questo Paese, non è più rappresentata dalla ricerca scientifica, né dalla media piccola e media industria, ma piuttosto dall’incredibile rete di solidarietà su base volontaria, costituita dai tanti angeli anonimi che, quotidianamente, operano i veri miracoli, nel silenzio colpevole dei media e della politica.

lunedì 17 maggio 2010

CHI HA RUBATO IL LECCA LECCA ?

Ed ora che, per non fallire, il nostro fu “Belpaese” dovrà sganciare venticinque miliardi d’euro, dove pensate che preleverà questa montagna di denaro? Le prime indiscrezioni parlano di ridurre le pensioni d’anzianità e gli stipendi dei dipendenti pubblici. Eh già, si tratta della soluzione più banale. Come se, dovendo sottrarre un leccalecca all’interno d’un asilo, scegliessi un bambino piuttosto che la maestra. La logica perversa della politica, nella nostra nazione, è di una semplicità sconcertante, che rasenta la stupidità. Il costo sociale per mantenere un carrozzone costosissimo carico di politici da strapazzo, che tra l’altro utilizza i fondi degli elettori al solo fine d’automantenersi, è diventato insostenibile, tantopiù se questo pubblico denaro è sprecato per trovare soluzioni ovvie, oppure per truffare il solito popolo bue. Nessuno di questi signori ha un reale interesse a mettere mano alla voragine dell’evasione fiscale, che da sola trasformerebbe un Paese allo sfascio in una nuova Svizzera. Nessuno di loro ha la volontà di combattere le cento, mille mafie che infestano fin nella radice quest’Italia, che vive ancora di ricordi e d’opposte fazioni, ancorata ad un Medioevo culturale che tarda a morire. Ed allora non indigniamoci per il fastidioso record mondiale d’auto blu, né per quello del debito pubblico, né per quello della lentezza processuale, né per le trecentomila leggi e leggine che ingessano l’intero sistema. E pensare che, per cambiarlo, basterebbe essere meno tifosi ed un po’ più cittadini.

mercoledì 12 maggio 2010

POLITICI ITALICI

Il tempo è la variabile con la quale ognuno di noi deve fare quotidianamente i conti.

Persino i politici. Quando un senatore oppure un assessore s’insediano nei rispettivi seggioloni, subentra in loro l’inguaribile smania di rimanervi per l’eternità. Molti tra loro sono poi sostenuti dalla convinzione di possedere una natura divina, sforzandosi con ogni mezzo di realizzare l’ubiquità sia in televisione, che nelle votazioni parlamentari.
Quasi nessuno tra loro desidera realizzare il bene pubblico: preferiscono gli interessi privati.
In Italia la razza dell’uomo politico (sono, infatti, molto rare le donne), si è evoluta generando una nuova specie, resistente ai magistrati ed alla legge, immune persino agli avvisi di garanzia. Quando un membro di questa nuova specie decide di comportarsi in maniera onesta ed in linea con il mandato elettorale, è immediatamente cacciato via dagli stessi.
Si tratta, invero, d’un parassita, che s’attacca voracemente al corpo d’ogni singolo cittadino, sottraendogli il nutrimento in maniera subdola, spesso sfoggiando un rassicurante sorriso. L’ipocrisia e la falsità, unitamente all’attitudine a generare miseria e sperequazione sociale, sono le armi segrete d’ogni buon politico. Sono esseri che amano vivere in branco, autoriproducendosi talvolta, oppure generando un numero maggiore di membri sempre più famelici.
Rimane ancora un mistero di come, a differenza d’ogni specie nota di politico europeo, quello italico sia dotato della naturale propensione a scansare le dimissioni.

domenica 2 maggio 2010

BONDI: UN MINISTRO CHE, IN FONDO, HA UN SUO PERCHE'

Dalla sua istituzione avvenuta nel 1974, al Ministero dei Beni Culturali si sono avvicendati fior di politici, tra i quali Spadolini ed Andreotti, con la responsabilità di gestire il più ingente patrimonio artistico del mondo. Oggi alla sua guida c’è l’ex comunista Sandro Bondi che, dopo il più classico dei salti della quaglia, approdò nel 1994 alla corte di re Silvio da Arcore. A dire il vero, nei suoi trascorsi politici, gli ex compagni gli avevano affibbiato il non troppo generoso nomignolo di “ravanello”, ad indicare la sua propensione ad essere interiormente qualcosa di diverso rispetto alla propria apparenza esteriore. Oggi possiamo apprezzare la lirica asciutta del Bondi poeta nelle numerose opere reperibili nel web, in cui loda pubblicamente la famiglia del Premier. Alla compianta madre del Caro Leader, Rosa Bossi (come può essere beffardo il destino in tema di cognomi), dedica una rima addirittura blasfema, definendola “madre di Dio”. Per Veronica Lario azzarda una futuristica “intrepida solitudine”, mentre per il suo amato Silvio erompe con nove rime libere, definendolo “vita vitale” e “vita splendente”. Qualche “frescone” si internet, ironizzando sul suo particolare stile, ha inventato il “Bondolizer”, un generatore automatico di nuove poesie Bondiane, che vi consiglio di provare al seguente link ( http://gamberorotto.com/miscellanea/sandro-bondi-il-generatore-di-poesie/#Bondolizer ). In definitiva si tratta di un “dotto letterato” prestato alla politica, con un unico grande amore nella sua vita: il suo Silvio, che in un’intervista del 2003 descrive come “un uomo candido e puro, che non interviene mai per censurare o per epurare i programmi televisivi faziosi”. Peccato che appena qualche mese prima, con il ben noto “editto bulgaro”, avesse invece cacciato con un colpo solo dalla Rai, Biagi, Santoro e Luttazzi.

                                                      UNA SELEZIONE DI POESIE

A VERONICA LARIO IN BERLUSCONI
Bellezza del soccorso
sensuale ironia
vigore dell’amore
intrepida solitudine


A ROSA BOSSI IN BERLUSCONI
Mani dello spirito
Anima trasfusa.
Abbraccio d’amore
Madre di Dio


A SILVIO
Vita assaporata
Vita preceduta
Vita inseguita
Vita amata
Vita vitale
Vita ritrovata
Vita splendente
Vita disgelata
Vita nova

sabato 1 maggio 2010

LA VERA STORIA DELL'UNITA' D'ITALIA



In nemmeno 14 minuti un grande storico, Arrigo Petacco, parla dell'origine del nostro Paese in maniera semplice e discorsiva, spiegandoci così le tante, troppe diversità tra Nord e Sud, la propensione del popolo italico ad essere non governato ma dominato, e di come la Storia venga sempre scritta e riscritta ad uso e consumo di una lobby dominante e mai per il popolo.

venerdì 30 aprile 2010

DONNE E POTERE

“La crescente influenza delle donne è l’unica cosa rassicurante nella nostra vita politica”. Scriveva, alla fine del 1800 Oscar Wilde, scostandosi certamente dalla cultura misogina del tempo. Ai giorni d’oggi, la donna ha colmato solo parzialmente le distanze rispetto al genere maschile, mentre la parità d’opportunità tra i sessi, di fatto, appare ancora una lontanissima chimera. Analizziamo il divario immenso tra uomo e donna riguardo alla partecipazione alla vita politica: sebbene la percentuale di votanti sia simile, in Italia appena una donna su cinque siede in Parlamento, relegandoci agli ultimi posti tra le nazioni europee. A livello governativo i ministeri in mano alle donne sono in genere quelli minori, oppure tradizionalmente legati allo stereotipo femminile, come quello dell’istruzione. Mortificante è poi l’adozione della ministra “bonazza”, a mostrare un modernismo velinista e “telegodereccio”. Le cose non cambiano, anzi addirittura peggiorano in maniera evidente, a livello delle amministrazioni locali, dove i voraci maschietti possono esprimere in pieno le loro capacità d’opportunismo personale e l’attitudine a fare lobby (termine anglofobo che da noi si traduce con il più comprensibile vocabolo “corruzione”). Ci si chiede se le cose non migliorerebbero rovesciando questo tradizionale stato di cose, invertendo le parti per sfruttare il maggiore senso morale caratteristico dell’universo femminile. Ma poi che ne sarebbe del fantastico circo della tricolore politica maschilista, che tanto diverte il mondo intero?

mercoledì 28 aprile 2010

NUCLEARE ? NO, GRAZIE

Berlusconi ha comunicato che, a distanza di vent’anni dal referendum abrogativo sul nucleare, l’Italia “sceglie” di riprendere la strada interrotta. Parrebbe un deciso schiaffo alla volontà popolare: non c’è che dire. Gli italiani sono però ben avvezzi ai soprusi e non se ne faranno una ragione. Che la politica marci (o meglio, marcisca) a velocità differente rispetto agli sviluppi tecnologici, questo non è un mistero. Non c’è scienziato che possa negare come, l’energia atomica per usi civili, sia la forma più inefficiente di produzione energetica, tanto è vero che una centrale nucleare è paragonabile ad una “stufa ad uranio”. Tra 50 anni si esaurirà la materia prima di quella gigantesca stufa, e da lì in poi bisognerà attendere un milione d’anni perché le scorie radioattive esauriscano la propria carica mortale. Figuriamoci cosa succederà in un Paese che ha enormi difficoltà a gestire persino la mondezza! Il vero paradosso sarà ritrovarsi in breve tempo, privi sia di carburanti fossili (petrolio in primis), che d’uranio, e con un sole bello arzillo, che per i prossimi 4 miliardi di anni ci invierà immense quantità di carburante totalmente gratuito. Invece sorrideranno i maggiori estrattori mondiali d’uranio, il Canada e l’Australia (con i giacimenti, però, in mano a multinazionali statunitensi e russe), un prezzo in continua ascesa grazie alla rarità del metallo, che renderà ben presto antieconomiche e superate le centrali nucleari. Saranno proprio come le vecchie stufe della nonna, soltanto un po’ più cancerogene.

lunedì 26 aprile 2010

IL GIORNO DEL GIUDIZIO


Tra i maestri della letteratura sarda, un posto di riguardo spetta al giurista nuorese Salvatore Satta, soprattutto per il suo romanzo, pubblicato postumo, “Il giorno del giudizio”.

Ciò che colpisce di questo libro è l’analisi cruda che l’autore traccia della civiltà sarda, ponendone in evidenza i limiti e le contraddizioni: dall’atavica attitudine alla divisione, alla predisposizione genetica ad essere dominati dallo straniero o dal continentale di turno, all’indifferenza di vivere “inquilini” nella propria terra.
Partendo così dall’analisi di una piccola realtà come Nuoro dei primi del Novecento, Satta traccia un quadro insieme d’amore e d’odio verso la propria città, caratterizzando i personaggi che animavano quei palazzi decadenti e le vie tenute deliberatamente buie.
Egli critica una classe amministrativa incapace, un clero aggrappato ai propri privilegi, un’oligarchia economica collusa con il potere politico, una popolazione ignara di possedere diritti: tutto ciò contribuisce a rendere quest’opera letteraria tremendamente attuale, riportando fedelmente il clima dei nostri tempi, come se un secolo fosse trascorso invano, inossidabile come i massi immobili dei nuraghi o le radici delle querce o come l’incessante urlo del maestrale tra il leccio e l’infinito. E noi sardi ci chiediamo: quanti secoli ancora dovranno trascorrere prima di riappropriarci finalmente della nostra martoriata terra?

sabato 24 aprile 2010

CHI L'AVREBBE DETTO?

Chi l’avrebbe detto che un giorno avremmo assistito al dietrofront di Fini? Prima avevamo partecipato alla cordiale stretta di mano tra il Cavaliere ed il mandante libico dell’attentato aereo di Lockerbie, la sua personale amicizia con il carnefice russo di migliaia di ceceni, e quindi ancora il pubblico elogio a Lukascenko, l’ultimo vero dittatore del mondo occidentale. Chissà se un giorno proveremo l’ebbrezza del coprifuoco notturno che vivono quotidianamente i nostri fratelli bielorussi, oppure se il fitto interscambio russo-italico riuscirà a modernizzare ed a ricapitalizzare la maggiore impresa dello stivale, cioè la mafia.

Tanta è la curiosità per un futuro che mai prima d’ora è parso più incerto, che pervade ogni ganglio vitale dello Stato fin nei più remoti interstizi, impadronendosi dei corpi e delle menti dell’universo dei teledipendenti, utilizzando il rassicurante travestimento da imprenditore vincente, che alterna ai tentacolari artigli della politica l’agghiacciante mediocrità del cattoliberismo all’amatriciana.
Ora che la carta costituzionale sta per essere stracciata, non rimane che inviare nuovi plotoni e nuovi autoblindo nel deserto Afghano, non resta che rassegnarsi alla “disuguale uguaglianza” di pochi di fronte alla legge ed alle mille clausole vessatorie d’un contratto mai sottoscritto con gli italiani seppure in vigore da sempre, chiamato amichevolmente “partitocrazia”.
Chi l’avrebbe detto che un giorno, l’Italia post fascista, sarebbe stata colonizzata dai palazzinari e dai banchieri?

martedì 20 aprile 2010

COM'E' IL BICCHIERE?

C’è chi il bicchiere lo vede mezzo pieno, chi invece mezzo vuoto. E’ ben nota, in questo caso, la correlata discriminante tra visione ottimistica e pessimistica della realtà. C’è però chi il bicchiere lo vuole vedere colmo anche quando non lo è, comportamento tipico dell’utopista. Infine, c’è persino chi il bicchiere lo vuole vedere, e farlo vedere agli altri, pieno, ben sapendo che è vuoto: questi è il millantatore. Noialtri, italica gente, ben conosciamo tale tendenza, plasmati a dovere dalla nostrana politica, in cui la menzogna sistematica è alla base di qualsiasi atto. Il livello di tolleranza dell’italiano medio, di fronte alla spudoratezza d’affermazioni palesemente mendaci da parte degli attuali governanti, ha raggiunto ormai la convivenza. Questo è un Paese in cui è possibile credere a qualsiasi frottola, in cui qualsivoglia imbecille può essere nominato dalla partitocrazia a ricoprire importanti cariche istituzionali, in cui l’oggettiva realtà è capovolta ad uso e consumo di poche e selezionate lobby finanziarie che, di fatto, governano l’Italia all’insaputa degli italiani. Il bicchiere sta tracimando di follia collettiva, con la crescente abdicazione del popolo dalla democrazia, incoraggiato in ciò dall’infido livello dell’intellighenzia di regime, dallo spessore morale assimilabile alla delinquenza comune ma dall’elevato potenziale emulativo. Sarebbe ora che il bicchiere venisse finalmente svuotato dall’acqua stagnante, per ricominciare finalmente a riempirlo di serietà e di moralità politica.

domenica 18 aprile 2010

CONFLITTO D'INTERESSI????

LAMENTO SARDO



Ma di che ci lamentiamo noi sardi? La nostra vocazione all’ospitalità iniziò un paio di millenni orsono, con quelli che furono chiamati invasori e che ora sono semplicemente turisti, mentre la proverbiale disunione ci porta a misconoscere persino la nostra gloriosa storia. Quanti tra noi, protosardi in erba, adottati alla cultura tardo-barocca del presidenzialismo imperfetto, sanno chi fosse Amsicora o cosa fosse la Carta De Logu? E perché nessuno c’insegna, nelle scuole del regno, le gesta di Angioy o i fatti di Pratobello? Non dobbiamo lamentarci della dipendenza energetica, poiché abbiamo vinto il concorso nazionale per avere le centrali nucleari di prossima costruzione, che saranno più tecnologiche rispetto a quelle antiestetiche pale bianche che producono energia dal vento. Perché qualcuno si lamenta della crisi economica (che da noi è un fatto endemico, regalando all’isola il primato europeo di disoccupati e di pil procapite) o perché qualcuno ancora chiede il riconoscimento della zona franca e persino dell’indipendenza?

Non si trovano bene questi signori con le ciminiere quasi inattive di Portotorres e di Ottana, o ancora con le esercitazioni militari della Nato a Teulada e a Capo Frasca? E dire che il generoso tutore italico ci aveva amorevolmente preservato dell’invasione dei no global di La Maddalena, aveva tutelato il paesaggio impedendo la costruzione della Sassari-Olbia, ed inoltre ci aveva donato in anteprima assoluta il futuristico digitale terrestre. Ma di che ci lamentiamo, in fondo, noi sardi?

giovedì 15 aprile 2010

PER IL MIO COMPLEANNO


Sapersi ritrovare

questo è il segreto per una vita pura
con coraggio e con pazienza
ripercorrere ogni viottolo
senza timore di rivedere l’uomo di prima
con coraggio appunto
chè il giorno più bello è quello passato inosservato
assieme al chicco invisibile chiamato felicità

Lungo questo camino aspro polveroso e infinito
le membra colgono l’essenza delle cose
come il senso delle parole mai dette
e la musica sprigionata dal vento
e la prodigiosa attesa dell’amore
l’affanno crescente e la paura di non farcela
un trionfo di sensazioni nuove seppure presenti da sempre
contrasti irrisolti che chiedono una spiegazione

I filari degli olmi stanno lì da sempre
ad osservare il pensiero dell’umanità
cangiante nella sua straordinaria varietà

Ora qui all’imbrunire ciò che importa
è avere terminato la quindicesima tappa
e trovare un rifugio dai cani randagi
prima di preoccuparsi della prossima metà


Carriòn de los Condes, 15 avril 1693

mercoledì 14 aprile 2010

LA GUERRA CHE NON C'E'


Sono stimati in oltre un milione e trecentomila gli iracheni che hanno perso la vita in seguito alla scellerata e criminale guerra scatenata dalla “democrazia” americana fin dal 2003.

Il dato viene “addolcito” all’opinione pubblica mondiale, raccontando di circa centomila vittime, Nessuno ormai ricorda più nemmeno la causa scatenante il conflitto, nessuno si chiede più, criticamente, come possa il civilissimo Occidente sporcarsi le mani con questa nuova sporca Crociata. I “Media governativi” dedicano sempre meno spazio alla cronaca della guerra in Afghanistan, combattuta anche dal nostro esercito, in barba al dettato Costituzionale che vieterebbe invece qualsiasi intervento armato. Però l’Italia è il Paese dell’interpretazione delle leggi: in questo caso ci hanno spiegato che si tratta di un intervento per mantenere la pace.
La guerra in medio oriente è diventata, nel corso della sua evoluzione, non più un’azione di violenta aggressione, ma quasi un’azione diplomatica, coniando l’ipocrita termine di “guerra preventiva”. Sarebbe a dire che, in previsione di ricevere uno schiaffo, te lo do prima io.
Così come è semplice e beffarda al tempo stesso, la giustificazione che i comandi militari danno delle quotidiane stragi di civili causate dalle bombe intelligenti (che sarebbe più corretto definire distratte). Si parla, infatti, di “tragica fatalità”, considerando il bombardamento alla stregua di una calamità naturale, e chiedendo semplicemente scusa alle vittime. Questa è la nuova guerra: la guerra che non c’è, appunto.

lunedì 12 aprile 2010

IL PARTITO DEI NON VOTANTI


Sono oltre 15 milioni gli italiani che non sono rappresentati nell’attuale Parlamento. Questo è, in buona parte, frutto del meraviglioso regalo che ci fece nel 2005 il leghista Calderoli con la legge elettorale che, egli stesso, definì “una porcata”. Stiamo parlando di oltre un terzo degli aventi diritto al voto, gli appartenenti all’invisibile maggiore partito italiano, gli orfani di questo sistema definito, enfaticamente, “democratico”.

Perlopiù si tratta di votanti che hanno scelto liste e partiti che non hanno superato la soglia del 4%, e la cui preferenza è stata pertanto attribuita ad altri. Quindi c’è la pletora dei non votanti, oppure chi vota imbrattando la scheda elettorale per protesta, oppure ancora chi la deposita candida nell’urna. E’ questo il partito che, pur senza un programma né propri candidati, primeggia nelle preferenze degli italiani, sebbene sia puntualmente ignorato nei dibattiti e nelle tribune politiche. Ora qualcuno tra voi capirà meglio l’orgiastica soddisfazione di tutti i contendenti nel post-elezione: vincitori e vinti, nominati e trombati, tutti loro assicurano la riproducibilità al sistema ai danni dei poveri elettori, grazie soprattutto al sontuoso contributo elettorale ai partiti (classico italico “escamotage” per sostituire l’illegale finanziamento pubblico ai partiti). Propongo infine un quesito per quanti hanno votato alle ultime elezioni politiche: conoscete per caso il nome del deputato e del senatore che avete scelto con la vostra crocetta? Meditate, gente. Meditate.

domenica 11 aprile 2010

LODE AL CARO LEADER



Succede, seppur raramente, che l’agnello possa cacciare il lupo. Succede, ancora più raramente, che un tiranno possa mostrarsi infastidito per l’assenza di democrazia nel Paese che domina. Capita, alle volte, che una minoranza di stolti governanti, possa tenere sotto scacco un intero popolo. Capita invece sempre più spesso, che l’onesto passi per fesso ed il delinquente per eroe. Straziato, umiliato, l’attore interpreta il suo capolavoro mischiando lacrime e singhiozzi, come se la vita non fosse che una breve recita su una porzione di palco scricchiolante. Mai riuscirà a scorgerla quella botola invisibile che separa le sue manie circensi dagli applausi. L’unguento tricologico lo trasforma in un piccolo balilla, il travestimento lo rende servo del suo egocentrismo, forgiandolo a guisa d’un funambolo cieco. Forse qualcuno ancora ricorda il tintinnare delle cento lire sulla carrozzeria cromata dell’auto blu, pochissimi ricordano la contumacia tunisina del Bettino. Succede che qualsiasi scandalo scorra via rapido ed ignavo. Accade che un minuscolo personaggio, che vive circondato da gorilla nutriti dalle super proteine, come un moderno Macbeth, trasformi la pazzia in realtà. Accade tutto ciò a quattro passi dal prossimo, inevitabile, condono tombale. Succede che parole come dignità, rispetto, fierezza, diventino semplicemente boccioli d’alito per innaffiare il passato. Accadeva ciò da qualche parte nel mondo, poco prima che le televisioni cominciassero a trasmettere, a reti unificate, il verbo del “Caro Leader”.