Chi l’avrebbe detto che un giorno avremmo assistito al dietrofront di Fini? Prima avevamo partecipato alla cordiale stretta di mano tra il Cavaliere ed il mandante libico dell’attentato aereo di Lockerbie, la sua personale amicizia con il carnefice russo di migliaia di ceceni, e quindi ancora il pubblico elogio a Lukascenko, l’ultimo vero dittatore del mondo occidentale. Chissà se un giorno proveremo l’ebbrezza del coprifuoco notturno che vivono quotidianamente i nostri fratelli bielorussi, oppure se il fitto interscambio russo-italico riuscirà a modernizzare ed a ricapitalizzare la maggiore impresa dello stivale, cioè la mafia.
Tanta è la curiosità per un futuro che mai prima d’ora è parso più incerto, che pervade ogni ganglio vitale dello Stato fin nei più remoti interstizi, impadronendosi dei corpi e delle menti dell’universo dei teledipendenti, utilizzando il rassicurante travestimento da imprenditore vincente, che alterna ai tentacolari artigli della politica l’agghiacciante mediocrità del cattoliberismo all’amatriciana.
Ora che la carta costituzionale sta per essere stracciata, non rimane che inviare nuovi plotoni e nuovi autoblindo nel deserto Afghano, non resta che rassegnarsi alla “disuguale uguaglianza” di pochi di fronte alla legge ed alle mille clausole vessatorie d’un contratto mai sottoscritto con gli italiani seppure in vigore da sempre, chiamato amichevolmente “partitocrazia”.
Chi l’avrebbe detto che un giorno, l’Italia post fascista, sarebbe stata colonizzata dai palazzinari e dai banchieri?
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