sabato 25 aprile 2009

BANCHE E POTERE



Qualche giorno fa a Londra, durante il fantasmagorico circo del G20, un gruppo di manifestanti entrava nella Bank of Scotland, con intenzioni poco cordiali verso i suoi dirigenti, rei di aver permesso il fallimento della medesima. Questi ultimi, per tutelare la propria incolumità fisica, si difesero lanciando mazzette di sterline verso gli aggressori, non sortendo però tra gli aggressori, la reazione sperata. Nessuno però si pronò a raccogliere il vil danaro, nessuno aveva intenzione di barattare con esso le proprie ideologie. Immaginate allora che succederebbe se frotte di gente inferocita e affamata violassero gli istituti bancari delle nostre città? Gruppi di cittadini organizzati, violentati dalla perdita del lavoro, strozzati dalla rata del mutuo, massacrati dalla perdita di potere d’acquisto, ingannati dalla politica, senza aver più nulla da perdere, potrebbero uscire dal silenzio dei Media per riprendersi il maltolto. Appare fin troppo evidente che il prezzo da pagare per lo scempio finanziario, causato in gran parte dall’avidità delle banche, sarà proprio la rivolta sociale. Obama l’illuminato l’ha già capito nell’altra sponda dell’Oceano, mentre quaggiù nello stivale continuano gli sterili battibecchi da avanspettacolo nei salotti buoni di Rai e Mediaset. Nel frattempo il redivivo Mario Chiesa insiste con il solito vecchio sistema delle tangenti, uno dei marchi DOC più rappresentativi all’estero, congiuntamente alle gaffe mondiali del Capomastro di turno. Si sta come, d’autunno, sugli alberi, le foglie.

GI OTTO





No. La Sardegna non è terra sismica. E’ considerata terra geologicamente stabile dal punto di vista tellurico. Eppure l’ultimo terremoto è stato appena provocato dal nostro caro Leader qualche giorno fa, quando ha annunciato al mondo, cum magnum gaudio, lo sfratto dell’isola della Maddalena come sede del prossimo G8. Il vassallo di turno, al secolo il figlio del suo commercialista, ha penosamente finto del disappunto. Poi ha capito che doveva abbassare lo sguardo, mantenere la promessa fatta al Caro Leader, mentre per l’ennesima volta la Sardegna avrebbe aspettato la nuova occasione. Del resto di terremoti quest’isola ne ha avuti fin troppi: dallo scempio del polo petrolchimico all’uranio impoverito gentilmente offerto dalle sue basi Nato. Sono tutti argomenti simpatici dei quali si potrà parlare nel summit sull’ambiente, previsto come contentino per lo scippo del più altisonante G8, sempre nell’arcipelago Maddalenino a Settembre. Per l’occasione ci sarà promessa la bonifica delle aree inquinate di Porto Torres ed Ottana, la trasformazione dell’uranio in oro 24 carati, e l’onore di avere sul nostro territorio qualche sicurissima centrale atomica, come premio alla nostra asismicità. Come non essere felici per tutta questa bella pubblicità per il turismo della meravigliosa isola delle vacanze? Altro che “Sardegna fatti bella” di Soriana memoria: noi preferiamo le nostre belle trigliette al mercurio e le petroliere che scorrazzano in allegria, in attesa del disastro ecologico. Pardon, del terremoto.

martedì 21 aprile 2009

BUONA VELEGGIATA, ROBERTO


Non è bello commentare la morte di un amico. Non è bello né semplice, soprattutto se l’amico ha perso la vita in maniera evitabile. Perché non è augurabile a nessuno di trascorrere, come è successo a Roberto, le ultime ore della vita nel corridoio di un pronto soccorso, con la flebo sbagliata, con la diagnosi sbagliata, con il medico sbagliato. A voler essere fatalisti si sarebbe potuto dire che fosse giunto il suo momento, a voler essere religiosi che Dio lo avesse chiamato al suo cospetto, ma a voler essere semplicemente cittadini nulla di ciò era vero. La macchina della sanità sassarese aveva generato un altro nefasto caso, ancora una vita era stata spezzata dall’inefficienza di un sistema salute fermo agli anni settanta, con dirigenti inetti che pensano che un reparto di pronto soccorso debba essere un girone infernale con i medici più inesperti e gli infermieri più arroganti. Una sorta di E.R. per sfigati, un reality casereccio, un dramma evocato ogni giorno che purtroppo arriva, come anche il dolore della famiglia, un magistrato, un prete e le solite parole vuote, scontate, che hanno il sapore di tante, troppe volte in cui le cose sono rimaste uguali, in cui nessuno ha pagato. Chi saranno i prossimi tra noi a morire per errore al buio dei riflettori, dentro uno scatolone vuoto chiamato ospedale civile, tra sedie d’attesa luride e lenzuola color crisantemo? Chi sarà il primo ad urlare all’onorevole direttore generale della Asl che questa sanità non la tolleriamo più? Buon viaggio, Roberto. E prega per noi.

venerdì 17 aprile 2009

NOI E LA CRISI



La crisi noi la si toccava, sebbene non la potessimo comprendere.
Noi non eravamo che molecole invisibili per i grandi della Terra, perché ciò che importava loro era mantenere in vita il marcio. Intanto alla tele lo chef caramellava l’anatra e le strade ribollivano d’amarezza e di sguardi sommessi e di piccole manie crescenti, di lotterie istantanee e movimenti per la vita.
Lo chef infornava in diretta le zucchine al gratin, la colf cingalese passava l’aspirapolvere e le mine antibambino mutilavano: passato e futuro venivano passati al frullatore senza alcuna menzione per l’oggi, per l’istante in cui il ragno tesse la tela, per la frazione d’esistenza che svanisce senza lasciar traccia.
Questa è la crisi, la vera crisi, quella di cui nessuno si occupa. Fuori, nel mondo reale, null’altro che una generazione di robot che attende qualcosa, che talvolta ha le sembianze del giullare di corte.
Questa maledetta crisi si era ormai impossessata dei loro cuori con la forza dell’uragano e la rapidità del giaguaro, e correva sul binario morto che inesorabile conduce alla resa dei conti. Crisi o non crisi, patrizi o plebei, destri o mancini, tutti e tutto avrebbero terminato la loro corsa omaggio in Via Craxi Bettino, proprio dirimpetto a Piazza Caduti di Tangentopoli (bizzarrie del revisionismo toponomastico), dopo avere sgranocchiato popcorn e ruttato pepsi, e volgendo lo sguardo al monte di pietà avrebbero reso ogni addebito alla clemenza del Caro Leader. Più o meno consapevoli. Più o meno felici.