mercoledì 30 giugno 2010

Ministri d'Italia, l'Italia s'è desta....

Quali sono i requisiti per poter essere nominato ministro? In Italia certamente è necessario avere almeno qualche carico pendente con la giustizia, oltre a rientrare nel novero degli ex compagni di merende dell’attuale Presidente del Consiglio. L’etimologia del termine ministro, invece, deriva dal latino “minister”, che significa servo, il ché appare assolutamente appropriato ed in linea con la funzione subalterna di questo amministratore dello Stato rispetto, non allo Stato, ma più propriamente verso chi l’ha nominato.

Succede così che nel momento della peggiore crisi dal 1929 in poi, dopo aver chiesto sacrifici a tutti, dopo aver varato una manovra da lacrime e sangue, dopo aver promesso gli auspicati tagli agli spropositati costi della politica, incurante di tutto ciò il capo del governo faccia scattare “l’aiutino da casa” per il suo compare Brancher, tangentista della prima ora, inventandogli un ministero tanto originale quanto inutile.
La manovra sarebbe dovuta passare inosservata, sfruttando la distrazione nazionale per le gesta calcistiche dei campioni del mondo. Purtroppo le cose sono andate diversamente. Persino il capo dello Stato non ha preso bene la disfatta e, destandosi dal geriatrico torpore, ha tuonato contro la richiesta di Brancher di legittimo impedimento, obbligandolo a ritirarla. Ma sappiamo bene che l’Italia è il Paese dei sotterfugi e dei giochetti sottobanco, dell’imbroglio e del doppiogioco, e che presto il Gran Burattinaio ne penserà un’altra delle sue per rimettere a posto le cose.

lunedì 28 giugno 2010

Si è concluso anche il referendum farsa indetto dalla Fiat per legittimare la morte dei diritti dei lavoratori. Ha dell’incredibile come l’illegittimità, stia rapidamente impossessandosi delle istituzioni pubbliche, con il tacito avvallo di tutti noi. In un solo giorno sono stati stracciati, contemporaneamente, il dettato costituzionale in tema di diritti del lavoro, le norme dell’Unione Europea e, non per ultimo, lo statuto dei lavoratori del 1970. La cosa pazzesca è che a rendere possibile quest’immondizia terzomondista, è stata proprio l’industria automobilistica che, più di tutte in Italia nel corso di oltre un secolo, ha attinto a piene mani al capitale pubblico, per poi presentare agli attoniti creditori una perdita stratosferica.

Si sta, in fin dei conti, ripresentando la barzelletta del fallimento dell’Alitalia, andato in onda qualche tempo fa, che è costato a noi poveri contribuenti italiani un ulteriore aggravio del carico fiscale, e che ora ci vede abbondantemente primeggiare in Europa tra i tartassati.
Già tutti noi abbiamo la mente preparata al prossimo referendum: preferisci pagare l’Ici o perdere la proprietà della tua casa? Oppure: “Sei disposto a congelare il tuo conto corrente per impedire il fallimento della banca d’Italia?” Nessuno sa che cosa ci riserverà il futuro sul versante del lavoro, ma è certo che le premesse sono senz’altro suggestive, in linea con l’italica propensione alla creatività, che mai ha fatto difetto alla nostra eccentrica classe politica. Per cui, Fiat voluntas tua.

lunedì 21 giugno 2010

CI FU UN TEMPO IN CUI LA SARDEGNA...

Ci fu un tempo in cui la Sardegna ebbe la Sanità, con degli ospedali funzionali e funzionanti ed il personale medico e paramedico adeguato, con dei dirigenti competenti, con dei politici che pensavano unicamente al benessere dei pazienti e non certo al proprio. Ci fu un tempo, molto ma molto lontano, in cui la Sardegna ebbe un governo che governava per i sardi unicamente per far valere gli interessi della comunità isolana. Ci fu un tempo, perduto nella memoria, in cui la Sardegna ebbe persino un’economia florida, basata sull’agricoltura e sulla pastorizia, sull’industria chimica e sul nascente turismo.

Ci fu un tempo in cui ogni sardo si sentiva fiero della sua sardità, un tempo in cui l’emigrato rientrava a godersi la pensione al suo paese d’origine, in cui tutti i sardi si abbracciavano come se fossero fratelli ritrovandosi oltre Tirreno. Ci fu un tempo in cui la Sardegna fu un’isola mite, senza i cassintegrati emarginati dalle fabbriche, senza i precari a marcire nei callcenter, senza i disoccupati a sperare nella raccomandazione giusta, senza le false promesse del G8 e delle grandi opere stradali, senza la povertà devastante che uccide la dignità del lavoratore sardo.
Ci fu un tempo che ristagna ormai nei ricordi, perso in qualche frammento di spazio, al di là della nostra coscienza di persone oneste e rispettose della nostra terra, al di là del marciume e dell’arroganza dei nuovi coloni che ci governano e che ci governeranno, al di là persino dei loro meschini giochetti di potere. Ci fu, un tempo…

sabato 19 giugno 2010

IL BELPAESE

Questo è un Paese che ha fame di nuovi politici, di nuovi ministeri, di nuovi sottosegretari, di nuovi portaborse, di nuovi autisti per condurre le 65 mila auto blu, di nuovi direttori generali delle nuove asl, di nuovi presidenti per le nuove province, di nuove catastrofi naturali per trasferirvi l’attenzione del pubblico dei teledipendenti, di nuove veline e di nuovi calciatori, di nuovi presidenti delle società calcistiche, di nuovi amministratori delegati di società colluse con la mafia, di nuovi mafiosi collusi con lo Stato, di nuove leggi ad personam, di nuovi attacchi alla dignità dei lavoratori. Questo è un Paese anomalo per L’Europa, che fa finta di essere un Paese civile sforzandosi di farlo credere agli altri. Questo è un Paese che vive di gloria passata, di Arte e di Cultura, di censura preventiva e di segreti di Stato, di stragi impunite e di golpe mancati, di diritti strappati e di furbetti del quartierino, di eroi dimenticati e di razzismo strisciante.

Questo Paese ha fame di una nuova dittatura, di un nuovo ordine delle cose che la finisca d’importunare i suoi governanti con le curiosità dei magistrati e dei giornalisti, di una nuova struttura in linea con il pensiero del Maestro Venerabile Licio Gelli, di una nuova filosofia politica che esalti il Silvio-pensiero. Questo è il miglior Paese in cui vivere per un uomo d’onore, per un evasore totale come per un riciclatore, per un palazzinaro come per un corruttore, per un tangentista come per un segretario di partito. Questo è davvero un Belpaese.

lunedì 7 giugno 2010

La favola senza fine della Sassari - Olbia

L’ultima beffa in ordine cronologico di Mamma Italia verso i servi della gleba “sardignoli”, è stato il furto delle risorse necessarie per la realizzazione della Strada Sassari-Olbia. decenni di promesse, ancora una volta, sono solo serviti a confermare l’unico vero fine della politica: la millantazione.

Certamente Woody Allen s’ispirò al Belpaese, quando interpretò le vicende dello stato libero di Bananas: troppe analogie con il sistema nostrano, in cui ogni astrusità diviene possibile, in cui la corruzione è la norma, in cui le gaffe e le barzellette sono parti integranti dei discorsi internazionali dei propri rappresentanti istituzionali, in cui il problema prioritario è la mondezza, in cui maggioranza ed opposizione sono accomunate dalla medesima imbecillità, in cui il partito che vince le elezioni è quello dei non votanti, in cui un processo civile dura quantomeno dieci anni. Il sardo, dopo essere stato colonizzato da ogni possibile civiltà conosciuta, subisce l’esproprio più severo della propria dignità ai danni dell’Italia. Una strada che non sarà mai fatta è solo il pretesto per comprendere dieci, cento altre promesse mai mantenute, che hanno contribuito a fare della Sardegna una delle regioni più povere dell’Europa. La verità è che questa Regione è solo un feudo dei ricchi vassalli continentali, che usano il nostro territorio per edificarci servitù militari, impianti petrolchimici, discariche abusive e molto presto anche centrali nucleari. Con il reverente silenzio-assenso dei coloni sardi.

martedì 1 giugno 2010

FINCHE' LA BARCA VA . . .

L’Italia è, per definizione, popolo di poeti, di santi e soprattutto di navigatori.

Probabilmente rifacendosi a quest’ultima nazionale attitudine, si sarà ispirato il rampollo del presidente del consiglio, Piersilvio, nel varare, qualche giorno fa, lo Yacht “Custom Line”, lungo la bellezza di 37 metri e costato 18 milioni d’euro. Quattro anni prima aveva acquistato il “Suegno”, un altro battello pagato soltanto 10 milioni d’euro.
Che il vice presidente di Mediaset possa permettersi di spendere come meglio crede i profitti delle sue attività, non c’è alcun dubbio. Ma che lo faccia proprio il giorno in cui il suo ingombrante genitore annuncia alla nazione che è giunto il momento per tutti di fare sacrifici, la cosa appare, oltre che fuori luogo, persino beffarda.
Ci aveva scosso recentemente, del resto, anche la notizia del sequestro dello yacht affittato da Flavio Briatore “Force Blue”, fatto che aveva messo di cattivo umore Nathan Falco, il pargoletto del manager, al punto da impedirgli la regolarità nelle poppate notturne.
Quello che è certo è che la navigazione di decine di migliaia di lavoratori e pensionati italiani avverrà, i prossimi anni, non certo sui mega yacht dei miliardari che comandano questo Paese ma, nella migliore delle ipotesi, su misere scialuppe di salvataggio bucherellate e senza motore, con le quali solcare i flutti d’un mare in tempesta con la sola forza delle braccia. A quel punto resterà perlomeno la consolazione, per il nostro Paese, d’avere un incremento esponenziale nel numero dei santi.