sabato 21 marzo 2009
MURI
Nel 1979 i Pink Floyd riempivano di sentimento il capolavoro “The wall” (Il muro), anticipando di dieci anni il crollo della famosa barriera berlinese, limite estremo sia alla libertà che trasposizione ideale del concetto d’oppressione.
Il filo spinato ed il servizio di ronda armato e pronto a sparare su chiunque provasse a varcarne il limite, ricordava con imbarazzante precisione i campi di concentramento nazisti. L’Europa, la civile Europa, convisse con quell’obbrobrio per 40 insopportabili primavere. Oggi nel mondo globalizzato, ancora troppi muri resistono. Nel nostro continente l’isola di Cipro è divisa a metà tra Grecia e Turchia, l’Irlanda del Nord è separata da quella del Sud, la Spagna ha eretto un bel muro per tenersi distante dagli immigranti marocchini. Persino lo Stato del Vaticano presenta un muro per sancire la distanza dall’urbe e dall’Italia.
Troppi messicani ancora sono trucidati per cercare di varcare il muro con gli Stati Uniti, ancora troppi cubani perdono la vita in mare per sfuggire al criminale embargo con il quale convivono forzatamente da oltre mezzo secolo, e poi ancora c’è la barriera tra India e Pakistan, quella tra le due Coree, e tante altre. Ognuno di quei mattoni, ogni cazzuola di cemento rappresenta la materializzazione stessa del concetto di limite, quello umano, quello che genera ancora le guerre e le stragi di povera gente nel nome del “diritto ad esistere”: come la consueta follia che continua a consumarsi da sempre la Palestina.
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